È uscito "Reloaded", il disco del cantautore bolognese Bonaveri. Un lavoro che raccoglie tutta l'esperienza maturata in 14 anni di carriera ma soprattutto di vita. Abbiamo fatto due chiacchiere con l'artista che presto sarà impegnato in una serie di concerti dal vivo.
Sei bolognese. In che modo la scena di Bologna ha contribuito alla formazione del tuo percorso musicale?
Nella maniera più impensabile. Sono il terzo di tre fratelli, Oscar del '59, Gloria del '61 e io, classe 1968. Ascoltavo i loro dischi e assistevo, in quel lontano '78, alle loro serate con gli amici a discutere di politica, di filosofia… Ascoltavano Inti-Illimani, Guccini e ancora De André, il Banco del Mutuo Soccorso, Lolli, Stefano Rosso, Jethro Tull e tantissimi altri. Io sognavo e volevo fare quel mestiere lì. Davvero, mi immaginavo sul palco ed ero determinatissimo. Dal punto di vista musicale Bologna non mi ha regalato altro, anzi, devo dire che mi ha sempre offerto pochissimi spazi per esibirmi, salvo alcuni piccoli teatri e i soliti, instancabili, piccoli locali che resistono nonostante tutto.
Secondo te come dovrebbe essere un vero cantautore?
Come debba essere un cantautore non lo so, dal momento che io stesso cerco di assomigliare il meno possibile a ciò che non sono e che gli altri si aspettano diventi ma posso dirti quali caratteristiche ritengo debba avere la canzone d'autore perché io la consideri tale: per quanto mi riguarda la valenza della poetica e del testo deve avere una tale forza comunicativa e una tale proprietà di linguaggio da poter essere letta e decantata anche senza musica, senza perdere in forza e comunicatività. Purtroppo non la pensano come me molti addetti ai lavori, al punto che oggi è sufficiente scrivere e cantare qualche parola in rima per essere definiti "cantautori".
Hai iniziato con i Resto Mancha, quale strada hai percorso per arrivare sino a oggi?
Una strada sempre in salita, o come diceva qualcuno a noi tutti molto caro, "in direzione ostinata e contraria". Invecchiando si diventa molto più rigidi e io sentivo l'esigenza di difendere la mia integrità già a 30 anni. Figurati oggi che ne ho 50. Con i Resto Mancha feci un contratto con Warner, che poi interruppi pochi mesi dopo perché sentivo che avevamo visioni contrastanti del mestiere di cantautore. Poi arrivò la collaborazione con il mio primo grandissimo, indimenticato e indimenticabile Maestro, Beppe Quirici. Fu magnifico, al punto che il disco che partorimmo e arrangiammo insieme si intitolò proprio così, MAGNIFICO. Poi questo grande artista venne a mancare e iniziai "Città Invisibili", sentendo il carico della responsabilità di quella preziosa collaborazione. E lì entrò in gioco il mio secondo maestro, Maurizio Biancani, che ancora oggi è mio amico e produttore artistico. L'anno scorso è nata la collaborazione con Fonoprint e Leo Cavalli, che ha voluto fortemente portare all'attenzione del pubblico il mio progetto, quindi eccomi qui. Non ometto e non dimentico tutti i grandi artisti con cui ho collaborato in questi anni, perché a ciascuno di loro devo l'esperienza di un pezzetto di strada percorso assieme.Oggi collaboro con Daniele Sala, Monica Faggiani e Maurizio Biancani alla messa in scena dei concerti prossimi venturi con musicisti fantastici: Elena Champion, Luca De Riso, Gabriele Palazzi, Pietro Posani e Stefano Gentilini.
Il 26 gennaio è uscito “Reloaded”, un disco prodotto da Fonoprint che raccoglie brani rivisitati e pubblicati durante 14 anni di musica. Ti va di parlarcene? "RELOADED rappresenta la pausa del cammino, quella in cui reinterpreti le esperienze vissute, le riordini e ti rendi finalmente conto che hanno costituito l’essenza del tuo peregrinare. Così le canzoni di RELOADED sono il punto su quello che dicevo, la riaffermazione di ciò che voglio dire e il preludio di quelle che dirò, facendo un mestiere che ha così tanto bisogno di quelle parole.Un disco di brani rivisitati, reinterpretati che sono un punto di arrivo di 14 anni di musica e un trampolino per proseguire questo unico, lungo concept che è dire ciò che penso mentre vivo la mia esistenza."
Questo che ho riportato è parte del comunicato ufficiale che è la sintesi che ho scritto per spiegare nella maniera più ermetica possibile il disco. Aggiungo che, a valle di molti ascolti che come sai vengono fatti in fase di missaggio e mastering, RELOADED mi ha sorpreso per la continuità sonora e per le immagini che, seppur musicalmente create in quasi tre lustri di attività, mantengono una coerenza e una cifra stilistica comunque peculiare, e mi ha divertito riscoprirmi (passami il termine) nell'aver affrontato tematiche che oggi sono diventate molto attuali, quasi contingenti.
C’è un brano al quale sei più legato o che spiega meglio quello che sei in questo momento?
LE MAT. È assolutamente la canzone più autobiografica dell'intera mia produzione. Racconta di me, quando decisi di partire senza cambusa per i mari della musica lasciando senza indugio le rive sicure di tutta la mia vita e un mestiere ben pagato, mentre tutti davvero mi dicevano che ero matto. Ma c'è anche DELLE DIVERSITÀ, che è il mio testamento per le nuove generazioni e anche il mio sincero, appassionato e accorato augurio che faccio ai giovani, a cui quelli della mia generazione hanno rubato il futuro.
Da dove trai l’ispirazione per le tue canzoni?
Dal mio piccolo, ordinario quotidiano. Se siamo dotati di una buona educazione emotiva e lasciamo aperte le porte alle esperienze, la vita ci accoglie, ci raccoglie e ci racconta le sue storie, che valgono milioni di chilometri in giro per il mondo. Come pare sostenesse Ermete Trismegisto: ciò che è in alto è come ciò che è in basso.
In “Le Piccole Vite” celebri il rapporto con il tuo gatto purtroppo scomparso. Quanto ha contato per te e che vuoto ha lasciato?
Un vuoto gigantesco che per fortuna hanno lenito cinque splendidi nipoti di Topo (era il suo nome): Topo Junior (padre), Pri (madre) e tre creaturine loro figli: Futura, Olivia e Platone. Vedi, il lutto per un animale può essere devastante perché esistendo una manifesta incapacità a comunicare con lui il nostro sentire profondo, resta una quota di non detto che lacera profondamente il nostro animo. Per oltrepassare (quindi trasgredire) questo limite, occorre uscire dalla nostra cerebralità e trovare altri meta-linguaggi non meno profondi e articolati. Questa cosa è evidente per chi ci è riuscito, una stupidaggine per tutti gli altri. Chi si è commosso per "Le piccole vite" sa cosa intendo.
Molti artisti per natura non riescono sempre ad ascoltare la musica "altrui". Che musica ascolta Bonaveri? Come ti confronti con la musica degli altri?
Ascolto tutti i giovani talenti che si rivolgono a me per avere consigli, a volte soluzioni di arrangiamento, qualche volta sperando di trovare una spintarella che non so dare. Di contemporaneo non ascolto tantissimo, anche se mi piacciono Caparezza, Nick Drake, Coldplay e Springsteen. Il cantautorato che amo di più è quello di Fossati e Brel. Poi amo la musica degli Inti Illimani, dei Procol Harum, Jethro Tull, Pink Floyd…la musica classica mi sorprende ogni volta.
Sono già state annunciate due date che segnano l’anteprima del tour che intraprenderai in primavera. Cosa ti aspetti da questi due concerti a Bologna (San Giovanni in Persiceto) e Milano?
Mi aspetto che tanti amici vengano a festeggiare con me questi 15 anni cantati in assoluta onestà, raccontando la mia verità in studio e nei concerti. Mi piacerebbe anche che lo splendido staff di Fonoprint, mia moglie Patrizia e tutti gli amici che hanno creduto in questo delirante viaggio potessero, per una volta, togliersi la soddisfazione di poter dire: "me lo sentivo che ce l'avremmo fatta".
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