Forte degli oltre 500.000 preordini negli Stati Uniti e dell’approdo del singolo di lancio “Hello” in pianta stabile al primo posto delle classifiche di 106 paesi del mondo, “25” ha segnato il ritorno di Adele nel regno della Musica. A distanza di tre anni dal precedente album “21”, la cantante ha dichiarato di aver voluto realizzare un disco che simboleggiasse una rivoluzione personale, un lavoro di riappacificazione con se stessa. Peccato, però, che evaporati gli entusiasmi dell’attesa e surclassata la cecità da nostalgia avvertita, dell’ album in questione resti poco. A cominciare da “Send my love (to your new lover)”, che ci aspetteremmo dai Fun o, bene che vada, dagli Of monsters and Men e che tenta di avviare il motore dopo l’onnipresente “Hello”, confezionata alla perfezione ma di cui ci dimenticheremo presto. Convince “I miss you”, in cui attraversa i toni più cupi con un’ottima prova vocale, sulla scia vincente di echi alla Florence and The Machine, ma l’incubo della piattezza è ancora in agguato e subito schiera la Rebecca Ferguson che è in lei con la doppietta cascante “When we were young” e “Remedy”. Rialza bene la testa con “Water under the birdge”, in cui si percepisce un sollievo che manca e che rimane assente nel resto dell’album, troppo raffermo per suscitare un palpito di troppo e forse troppo pretenzioso per riguardarsi dal basso e ricominciare a osservare tutte le falle che, ignorate a causa del successo in crescita, ci sono e resteranno. Se “19” era la speranza acerba di una voce egemone e “21” la consacrazione di un timbro capace di segnare la storia, “25” è lo sciatto tentativo di racimolare applausi riscaldando la minestra. Se questa è l’Adele che ha snobbato il brano “Alive” che Sia aveva scritto per lei, io non la preferisco.
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