Recensione – “Piano Sessions” – Emmeffe

Synth analogici, drum machine, accellerazioni, colore sono le costanti che hanno caratterizzato la produzione del musicista Marco Fantin, in arte Emmeffe. Vive tra Milano e Bergamo, ha realizzato l’album Trust, opera abbastanza complessa, in bilico tra ambient, elettronica in molteplici forme (dai suoni nordeuropei freddi ad atmosfere più rarefatte) e rock. Influenzato dall’elettronica contemporanea, ascoltatore di rock progressivo, Marco è un poli-strumentista, ex membro degli Arcansiel (synth) e degli Infrared (chitarra), con i quali ha aperto il concerto degli Jane’s Addiction. Ma Marco è anche un teorico della musica, un artista con idee precise:

“I suoni mi attraversano, arrivano da fuori, dai tetti che vedo dalla mia finestra, rimbalzano su di me e diventano musica. Sono a mia volta uno strumento musicale, un recettore di melodie e note”

Queste sue parole in un’ intervista in occasione del primo album solita, il suddetto Trust, del 2019. E proprio queste sue parole sono fondamentali per comprendere la successiva maturazione, che nell’attuale Piano Sessions sembra compiersi. Disponibile sui migliori digital store e su Spotify, dove Emmeffe conta decine di migliaia di ascolti, l’album è frutto di precise scelte sonore: alle drum machine si sostituisce il silenzio, o meglio decine di pause, che parlano più di mille beat, ai synth si sostituisce il piano elettrico, che produce note vibranti delle quali percepiamo non solo il suono, ma anche l’intenzione. Alla composizione scritta, ascoltata più volte e studiata si sostituisce l’improvvisazione, la ricerca di un linguaggio fatto di frasi tra musica classica, jazz e rock. Piano Sessions è un tentativo riuscito di ricerca sonora, di ricerca di un senso attraverso il suono. Un solo strumento, due mani sono ciò che serve per creare musica. Questa ricerca lo porta a creare otto “sessioni” che combinano varie strutture musicali ed armonie. Compaiono dissonanze, consonanze perfette, brevi fughe, frasi classiche etc. Muoversi tra le otto tracce senza titolo del disco vuol dire navigare in un mare fatto di spunti sonori, idee abbozzate, frasi concluse e perfette. Piano Sessions è un’opera che piacerà sicuramente agli ascoltatori di musica pianistica e a chi nella musica cerca un momento di riflessione. A noi il disco è piaciuto molto, non solo per le splendide sonorità, spesso capaci di parlare al cuore degli ascoltatori, ma anche perché era ora che nel panorama contemporaneo un artista sperimentasse qualcosa di nuovo e di radicale, registrasse un’esperienza sonora priva di inutili orpelli, effetti sonori e strani mixaggi che impediscono di arrivare al dunque. Allo stesso tempo, l’opera rivela l’altra faccia di Emmeffe, un artista che non ci sentiamo, adesso, di rinchiudere in un specifico genere, ma che amiamo ancora di più perché non ha paura di rinnovarsi, anche attraverso un nuovo linguaggio…

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