Pochi gruppi nel panorama contemporaneo sono in grado di ridare vigore a generi musicali che negli scorsi anni hanno partorito autentici capolavori e che ai nostri giorni sono oramai protesi verso nuove ricerche. Perché si sa che, in musica, cimentarsi nella purezza di un genere musicale è, soprattutto nel 2023, abbastanza rischioso, in quanto bisogna avere la capacità di dire “qualcosa che non è mai stato detto”. L’operazione del progetto Ierofania è, quindi, ardita. Questo progetto decide di pubblicare, a distanza di qualche anno, delle tracce risalenti alla loro epoca adolescenziale. Ciò che ne viene fuori è uno splendido album black metal… sì, esattamente quel genere che tra la fine degli anni ’80 ed i primi anni ’90 in Norvegia ha riguardato band con i Mayhem, gli Immortal, gli Emperor, i Darkthrone e molti altri. A distanza di molti anni, il black metal, con l’omonimo album di questa band sembra più vivo che mai.
“Ierofania” è frutto di una poetica tanto ambiziosa quanto aristocratica. Ierofania decide di pubblicarlo perché “quel che era malato è diventato morente”. Ierofania è un atto di ribellione verso una società ipocrita e meschina: scavarono “cadendo al fondo del buio, al fondo illimitato del buio”. Ciò che ne scaturisce è un “grido”, e “possa chi ascolta questo grido scorgere all’orizzonte una luce eterna, la luce nascosta del Sole”.
Fare black metal estremo porta questa band ad abbracciare anche sonorità di matrice anni ’80 che da sempre hanno influenzato il genere. Ma andiamo con ordine. Basti ascoltare la traccia Prima, con il suo intro cadenzato, abbastanza doom, con un riff epico, per sentire l’influenza dei Candlemass o dei Black Sabbath. Lo screaming gelido e recitante del cantante ci accompagna verso una sezione caratterizzata da blastbeat e da acuti power chord, inframezzata da riff abbastanza lenti di chitarra, sui quali il cantato diventa declamazione. Già ascoltando questa traccia si comprende come opere del calibro di De Mysteriis Dom Satanas dei Mayhem, oppure In The Nightside Eclipse degli Emperor siano state immagazzinate perfettamente. La ricerca della dissonanza, la creazione di malefici muri sonori è una costante, evidente in ogni traccia. La traccia Seconda è gelida, propone un riff che appare sia nell’inizio, più lento, che nella parte più veloce. La voce dà prova di ottime capacità interpretative, la sezione che parte dal terzo minuto, martellante ed oscura, è da brividi. A partire dal quarto minuto la batteria diventa duttile e propone dei pattern tanto complessi quanto interessanti. Echi doom in stile primi Anathema o Paradise Lost caratterizzano l’inizio della traccia Terza, successivamente su un tappeto sonoro caratterizzato da doppio pedale e voce che sembra provenire dall’oltretomba. Le chitarre sono alla ricerca di una dimensione epica. All’inizio del quinto minuto un tema quasi marciabile ci riporta ad una dimensione più melodica. Intermezzo, nella sua ricerca a tratti folklorica ed arcana ci fa pensare agli Ulver, o agli Opeth. Anche qui, nel contrato tra sonorità diverse è evidente la maestria di questa band, che calibra perfettamente tecnica, originalità ed oscurità. La traccia Quarta è monumentale. Brano più lungo del disco, in circa 9 minuti propone una vasto campionario di sonorità oscure e malefiche. I primi accordi ci fanno pensare ai My Dying Bride più oscuri, l’ingresso della voce ci riporta ad una dimensione più gotica, in seguito l’uso dei synth fa da sfondo alla batteria ed ai gelidi suoni di chitarra, mentre la voce declama in tono morente. La traccia Settima fa pensare ad alcuni brani di Anthems to the Welkin At Dusk degli Emperor, soprattutto al cattivissimo muro sonoro che caratterizza praticamente tutto il brano. La batteria è davvero da urlo.
Differentemente dai grandi album black metal degli anni ’90, “Ierofania” gode di un’ottima produzione e di un buon mixaggio, che rende chiaramente riconoscibile ogni strumento. Quest’album piacerà sicuramente a chi ama la musica estrema e a chi ha capito che alcune sperimentazioni che riguardano il metal spesso sono superflue e criticabili (pensiamo soltanto al massiccio uso dell’elettronica in molti album usciti negli ultimi venti anni). A questa band triestina va il merito di aver pubblicato un disco tanto autentico quanto originale.
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