Sappiamo che è uscito per la Universal, che è cantato in italiano, poi sbirciamo il nome sul disco e quel nome lo conosciamo già: è quello di uno dei migliori artisti che gli ultimi decenni ci abbiano regalato. Non avessimo questi indizi, potremmo comodamente tirare a indovinare: Damien Rice? Glen Hansard? Nutini? Laura Marling al maschile? Pur avendo componenti di tutti gli artisti menzionati, Niccolò Fabi è però pronto a confermarsi per l’ennesima volta nella sua straordinaria unicità. Un animale in estinzione della nostra discografia, inarrivabile per delicatezza e per autentica raffinatezza lessicale. Accade questo, nella sua ultima fatica musicale “Una somma di piccole cose”: vengono lanciate alle spalle le pietre per una nuova generazione di cantautori. E proprio nelle vesti di Deucalione e Pirra, Fabi realizza l’album più colorato della sua carriera, capace di elaborare una filosofia che diviene sin da subito simbiotica con l’ascoltatore. Un sapere “agricolo” prezioso, che ci ricorda, con i suoi nove brani messi a nudo, che le ipercostruzioni servono a chi ha smarrito il pentagramma della propria anima e che lui ha ancora il coraggio di creare poesia impugnando una melodia essenziale sopra cui sono stati ricamati testi talmente belli che andrebbero già proposti al Liceo. Perché dopo l’acclamato episodio precedente, “Ecco”, come ci ricorda nel brano “Le chiavi di casa”, Niccolò ha messo sul piatto tutto ciò che conosce. Ed è stata quella la genesi di un gioiello che non va scoperto a scompartimento, ma assaporato in unico, ininterrotto ascolto, dall’inizio alla fine. Non perché presi singolarmente i brani non siano strepitosi: “Non vale più” è uno sguardo sociologico sullo sconforto di questi anni passati a sognare una rivoluzione che non accade e che non sembra mai bastare, in “Facciamo finta” il peso e la leggerezza della finzione re immaginano un mondo eterogeneo rafforzato dall’amore, ne “Le cose non si mettono bene” si auspica ancora che un risveglio collettivo possa accadere, per riaccendere un focolare salvifico di speranza universale. Ma perché è nella sua continuità che il disco sprigiona la sua appassionata bellezza: premete play e fate spazio alla pelle d’oca. Vedrete, rilascerete ossitocina.
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