Il 13 maggio è uscito per Universal Music Italia "Sono qui", il primo album da solista di Walter Fontana, ex leader dei Lost.
Ti abbiamo conosciuto come leader dei Lost. Dopo lo scioglimento della band quanto è stato difficile ripartire e intraprendere una carriera solista?
Dopo un progetto così importante non è stato facile ricostruire una carriera. Mi sono preso del tempo, mi sono allontanato dai riflettori per lavorare in maniera più serena e per non avere pressioni durante la stesura di questo disco. Subito dopo lo scioglimento della band mi avevano proposto di uscire con un disco ma se non mi fossi preso del tempo avrei rifatto un disco identico ai Lost.
Dal 13 maggio è disponibile il tuo disco “Sono Qui”. Sembra che il filo conduttore sia proprio la ripartenza, non trovi?
Esatto hai colto nel segno, ho voluto ripartire con qualcosa di nuovo rispetto a quello che avevo sempre fatto, qualcosa di più ragionato e di più vissuto anche se rimane sempre un filo conduttore che è la mia persona.
Nel disco spiccano diverse collaborazioni, ci racconti come sono nate e cosa ti hanno lasciato?
Tutte le collaborazioni sono nate principalmente da amicizie e questo ci ha permesso di lavorare in maniera più distesa, giocando con le canzoni. Quando Placido Salamone, il mio produttore, ha ascoltato le demo che avevo registrato con la chitarra acustica ha capito subito quale sound avevo in mente per il disco e grazie alla sintonia che si è creata sono riuscito a raggiungere il risultato che speravo. Giovanni Caccamo lo conoscevo già, per un po’ ci siamo persi di vista e poi l’ho ritrovato per caso in studio mentre stavo lavorando con il mio produttore. Ascoltando i vari brani ha deciso di regalarmi la traccia 9, “Corro”, che si legava bene al resto dell’album. Mi ha fatto davvero piacere che abbia creduto in questa mia nuova avventura. E poi c’è Jethro Sheeran con il quale è stato veramente bello lavorare. Quando ho scritto “Perfetto” nella mia testa avevo ben presente un featuring con un artista internazionale che facesse rap. Chiaramente non è stato facile trovare qualcuno che rispecchiasse entrambe le condizioni, poi è nata questa amicizia con lui e quando gli ho fatto ascoltare il brano è impazzito al punto che in due giorni ha scritto e registrato tutto.
Oggi, quanto è difficile riuscire a realizzare un album? Sia dal punto di vista pratico che progettuale?
Non è affatto facile anche perché siamo in un periodo storico in cui gli artisti che non escono da un talent show hanno più difficoltà a ritagliarsi uno spazio e, non solo, c’è da tener presente che siamo in un’epoca molto veloce dove le canzoni vengono consumate alla velocità della luce, una volta un singolo durava 3 o 4 mesi ora dopo un mese è già passato di moda. Riuscire a creare un disco che mantenga l’attenzione dell’ascoltatore per 10 tracce non è semplice ma quello che cerco, e che ho sempre tentato di fare anche con i Lost, è provare a realizzare dei dischi che non si ripetano mai, ogni canzone deve aver un suo mondo, un suo sound. In “Sono Qui”, ci sono tantissime influenze e questo forse permette di arrivare a più persone.
Ascoltando il tuo disco trovo che ci siano diverse influenze, mi spiego meglio, non c’è solo pop ma anche r&b, elettronica, rock. Quanta ricerca hai fatto per arrivare a questo risultato?
È stata una ricerca dovuta anche ai tantissimi ascolti fatti negli anni, non ho barriere musicali, mi piace ascoltare tutto e farmi influenzare dai vari generi.
Quale artista più di tutti ti ha influenzato nel tuo percorso?
Una band che mi ha sempre molto colpito è quella degli OneRepubblic che ha, da disco a disco, sempre cercato di evolvere il suo sound pur mantenendo un filo conduttore. Un’altra band a cui sono legato sono i Panic! at the Disco che rappresentano il mio ideale di percorso con i loro cambiamenti di genere sempre azzeccati.
Durante i live interagisci con il pubblico o lasci che sia la musica a parlare per te?
Cerco sempre di interagire, è una cosa che ho sempre fatto. Mi lascio trasportare dalla musica e mi libero, posso fare veramente di tutto, buttarmi tra il pubblico, creare dei contatti molto stretti con chi è davanti. Diciamo che non mi piace stare fermo sul palco a concentrarmi sulla voce perché penso che quando qualcuno va ad un concerto voglia di più, altrimenti è meglio stare a casa ad ascoltarsi il disco. In questo apprezzo molto Jovanotti che sa trasportare il suo pubblico nella propria dimensione.
Cosa pensi guardando al passato e cosa proiettandoti nel futuro?
Del passato cerco sempre di ricordare le bellissime cose che con i Lost ho ottenuto e i bellissimi concerti che abbiamo fatto. Per il futuro voglio salire sul palco convinto delle mie qualità, in questi anni ho imparato ad apprezzare anche i miei difetti per trasformarli in energia.
Musicalmente parlando, qual è il tuo sogno nel cassetto? Se ne hai uno…
Mi piacerebbe fare una tournée di quelle belle toste, arrivare nei palazzetti e creare un pubblico vasto. Ci vorrà del tempo, non so dove arriverò, ma sono convinto che lavorando a testa bassa e in maniera concentrata i risultati si possano ottenere. Non ho la palla magica ma so che bisogna sempre crederci.
Che cosa fa Walter quando non è in studio o in giro a suonare?
Mi rintano in casa a vedere qualche bel film, ultimamente sono un grandissimo appassionato di Netflix e di serie tv. A volte anche così riesco a trovare l’ispirazione per qualche canzone.
C’è un messaggio che ti piacerebbe lasciare ai lettori di StandOut?
Vorrei dire di non arrendersi mai perché quando arrivano i momenti brutti si può e si deve sempre ripartire. Spero che possano ascoltare e capire questo disco ma, soprattutto, conoscere il Walter di adesso che non è quello di dieci anni fa ma è un Walter cresciuto, che ha voluto riportare la sua vita all’interno di questo disco cercando di essere il più sincero possibile.
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