Terzo album in studio del cantautore Francesco Gabbani, vincitore dell’edizione 2017 di Sanremo con la sua “Occidentali’s Karma”, “Magellano” era destinato ad essere il grande lancio europeo di un artista con molta gavetta alle spalle e finalmente pronto a conquistare fette sempre più grandi di pubblico. Era, per l’appunto. Nelle intenzioni, specifichiamo. Perché al primo ascolto dell’album viene da porsi immediatamente un interrogativo: chi mai potrebbe cogliere le tagliole concettuali che questo progetto tende all'ascoltatore ingenuo? No perché sotto l’ombrellone della BMG Rights Management, l’autore del successo nazionale “Amen” (che aveva anch’esso conquistato il podio di Sanremo, ma quello giovani, l’anno precedente) canta di complottismi e di false spiritualità, di vacanze squilibrate e liberticide su larga scala e di dilagante mania all’omertà. Un merito che non si può negare e che va riconosciuto, non fosse per la veste decisamente flebile dell’intero disco. Un accompagnamento di bassi e di elettronica definiti elettropop, in realtà molto più Michele Bravi style, con occhiolini al mainstream d’oltremanica, che proprio non sorprende né convince. Giocoforza, per questa forzatura di rendere il più appetibile possibile messaggi profondi da veicolare con un suono così acquerellato, anche i messaggi più sbalorditivi e interessanti svaniscono nei ritornelli da cantare sulla spiaggia. Ne è un esempio il secondo singolo scelto, “Tra le granite e le granate”, guazzabuglio intelligente sulla responsabilità civica di chi va in vacanza richiudendosi nell’utopia illusoria dei villaggi turistici incantati tuttavia cucita a una base che sembra la candidata al prossimo spot di una pubblicità per gelati. La stessa apripista omonima, pur avendo l’ingresso elettronico a gamba tesa come valore aggiunto, sembra volersi stiracchiare fino a rimanere nell’udito di qualsiasi ascoltatore, persino di quello più distratto. Eppure il pepe Gabbani ce l’ha eccome e la prova del nove passa da tracce quali la rivisitazione di “Susanna, Susanna” di Adriano Celentano, nella versione mediorientale e divertente, “Pachidermi e pappagalli”, “A moment of silence”; nella quale il carattere raggrinza, il cantautore redivive imbufalito ed è tutta discesa. Gli riesce bene folgorare situazioni e cliché dei nostri tempi. Il ritmo si restringe, l’istintività reincontra la classe smarrita nei compromessi di vendita. Pertanto si arriva a una conclusione: rispetto ad "Eternamente ora" c'è meno elettronica e meno critica ("Per una vita" che mordeva, dov'è?"Clandestino" che rimaneva nella bellezza della memoria, dove possiamo rintracciarla? La spensieratezza iperbolica di "Tarantola" dov’è finita?), ma più respiro e più accondiscendenza. Sarà un bene per l’artista? No, sarà un bene per l’entourage e gli avvoltoi. Ma noi attendiamo il risveglio. E possibilmente una “Sto dicendo ciao” bis.
You must be logged in to post a comment Login