A due anni di distanza dal precedente “Tienimi il posto” la cantautrice Erica Mou torna con un nuovo disco di inediti dal titolo “Bandiera sulla luna”, targato Godzillamarket. 13 brani che raccontano il movimento, il cambiamento, la crescita, non a caso anticipati dal singolo “Svuoto i cassetti”. L’apripista vede la cantante alle prese con un trasloco meticolosamente descritto nelle sue preoccupazioni, nel suo rabbuffare. Ritroviamo le dinamiche spumeggianti che avevano già caratterizzato i singoli precedenti come “Mettiti la maschera” e “Ho scelto te”: un’immediatezza coinvolgente, un’orecchiabilità accompagnata da un testo acuto e personale, e in questo caso il surplus è dato dagli archi che conferiscono una morbida venerabilità ulteriore al pezzo. In “Amare di meno” ritorna l'eccellente capacità lessicale di esternare un'idea perfettamente sorretta da chitarre e fisarmoniche: sarebbe preferibile puntare alla qualità di un rapporto, piuttosto che alla quantità.
“Roma era vuota” è una poesia onirica che racconta l'amore ferito che rivive passionevolmente nella memoria di chi si è speso molto per mantenerlo in vita. ("Ci troveremo ancora, ma non ora"). Il coro è commovente, il loop della Mou è come l'arco di Jònsi dei Sigur Ròs: auguriamoci lo usi per i prossimi dieci anni. In “Ragazze posate”, invece, esplora il miracolo della solidarietà e dell'amicizia femminile, che persiste contro le intemperie. Chitarra e voce si inseguono su una neve invisibile. Erica è angelica, la sua voce è più che mai carezzevole.
In “Irrequieti” c'è tutta la metafora della condizione umana, assimilabile a un insetto che vola contro un soffitto come Icaro volò per tentare di raggiungere il sole. La Mou è sempre geniale nella scelta delle metafore, il suo immaginario sembra davvero non conoscere limiti. La struttura melodica sembrerebbe suggerire una palpabile, futura (e consigliabile) veste orchestrale dal vivo.
“Al freddo” tratta di una donna che stufa di rabbruscolare attenzioni, mette in chiaro le divergenze e grida la sua esasperazione. Il rock entra con una capriola nel disco affiancandosi a un rap elegante e ben centrato. In quanto a parole, l’autrice ne conosce egregiamente ogni segreto.
“Azzurro” è la cover del celebre brano portato al successo da Celentano, una rivisitazione splendida, in punta di animo. L'eleganza senza pari, la delicatezza del timbro dell'artista pugliese sono benedizioni dal cielo di cui noi umani possiamo felicemente godere.
il minimalismo di "Arriverà l'inverno" è direttamente poesia che prende forma dalle pagine di Patrizia Valduga, Antonia Pozzi, Ada Negri. L'amicizia con la scrittrice Chiara Gamberale non può che farle bene.
La Title track è probabilmente il capolavoro tra le gemme preziose. Canta del rinnovarsi e del cambiare, del viaggiare e dello spostarsi e di riconoscere i limiti superati. Sposta la sua bandiera sulla luna. "Non mi troverai perché mi cerchi dove sarei", canta.
“Non so dove metterti” è invece un brano spiritoso e ricreativo, geniale nel suo solleticare rock e le voci sovraincise che ripetono il mantra "Non so dove metterti", il solo impedimento fisico che impedisce alla cantante di sperimentare la convivenza. in "Canzoni scordate" la Mou torna a celebrare l'amore, con il suo lirismo così veritiero e personale, ormai tratto specifico della sua penna autorale. Ritroviamo un po' di "Mentre mi baci (scena madre)" e anche di "38".
Con "Souvenir" l'atmosfera si appesantisce, la canzone in questione è tagliente e infierisce il colpo senza pietà: la bellezza eversiva del pezzo pesca dal meglio del repertorio della cantautrice pugliese e mescola lo struggimento di "Tienimi il posto" con l'accorata narrazione di "Vorrei dirti un sacco di cose adesso". Il finale, con la citazione dei cassetti pieni, è un tocco di pura, fatale meraviglia. Fazzoletti alla mano…
Il finale è affidato a "L'unica cosa che non so dire", con ilsuo finale ad effetto e i ringraziamenti al padre e "a chi rende possibile tutto questo". Una canzone che suggerisce del gospel e che se la cava con un'immensa grazia e una profonda ironia.
Ancora una volta Erica Mou riesce a raddensare le lacrime e a farne pagine di insostituibile incanto. Grazie a lei, ricordiamo sempre che la musica non è solo un incastro tabellare di note, è soprattutto il palpito di una voce che affida il suo messaggio a un disco. E a lei riesce bene sacrare l'individualità del talento, per cui tutti le siamo grati e ascoltiamo commossi la parabola di un racconto che regala sempre frammenti di bellezza spropositata. Testualità sempre vagheggiate, capillari nelle descrizioni, prolifiche in un irruento spettro di immagini meravigliose. In altre parole: non si è mai vaccinati all'immensa onda emotiva che un album di Erica Mou provoca.
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