“Andrà tutto bene” è il singolo di Fusco uscito a marzo. A maggio arriva una nuova versione cantata insieme ai ragazzi della Fondazione Italiana Verso il Futuro. Si tratta di una canzone che vuole essere un vero e proprio abbraccio musicale rivolto a tutti, in questo momento così difficile per l’Italia e per il resto del mondo.
Vuoi parlarci della genesi di “Andrà tutto bene”? Su “Andrà tutto bene” ci stavo lavorando già da un po’ di tempo. Almeno un mese prima rispetto alla quarantena. La melodia era ben definita e avevo già buttato giù qualche frase, tra cui paradossalmente anche il titolo. Poi, per motivi personali ho lasciato perdere e non ci ho più lavorato. Con l’arrivo del lockdown la gente era impaurita, non solo dal distanziamento sociale ma soprattutto dalle conseguenze che poteva causarne. Era forte il bisogno di messaggi di speranza positiva e di qualcuno che li lanciasse. Noi artisti siamo inconsapevolmente stati chiamati in causa. Il caso ha voluto che uno degli “slogan” di forza, per contrastare questo momento difficile fosse proprio “Andrà tutto bene”. Vedevo ovunque disegni di arcobaleni con questa frase, dai balconi, sulle bandiere tricolore e così via. L’ho interpretato come un segnale e d’istinto ho ripreso in mano il testo e l’ho completato.
Come mai hai deciso di collaborare con la Fondazione Italiana Verso il Futuro? Con la Fondazione Italiana Verso il Futuro ci collaboro da ormai qualche anno. Con loro è iniziata la mia avventura nel mondo della musicoterapia. Ho sempre creduto nella forza extra-spettacolo che la musica sprigiona. Così ho fatto un test. Ho messo nero su bianco e ho creato un metodo di laboratorio di musica per persone con disturbi cognitivi e del linguaggio, prediligendo come tecnica la forma canzone. Il laboratorio si alterna tra l’esecuzione canora di alcuni brani e l’improvvisazione (sempre canora). Ognuno dei ragazzi esprime il suo mondo attraverso l’esibizione canora. Non bastano due righe per descrivere i risultati ottenuti, tant’è che ho depositato alla SIAE il mio metodo di laboratorio.
Come vedi il futuro della musica dal vivo in Italia? Bella domanda. Ora sono confuso, proprio come tutti i miei colleghi musicisti. Certo, il contatto fisico è un elemento indispensabile nei live. Già il gesto di abbracciarsi durante l’esecuzione di una ballad fa sentire la vera anima della musica. E probabile che per un po’ di tempo saremo costretti a dover rinunciare ai live. Ci saranno molte iniziative televisive e via web in modo da creare un canale tra l’artista e il pubblico, anche se ovviamente non potrà essere paragonato ai live veri e propri. Il live è un prodotto ben confezionato, dove il pubblico ha bisogno di un artista che sprigioni belle vibrazioni e che ritornano all’artista stesso nel medesimo istante.
Tu come hai vissuto questi due mesi di quarantena dal punto di vista musicale? Ho scritto tanto. Sicuramente la solitudine imposta è servita ad ascoltarmi di più. Ho intrapreso nuove forme di meditazione che mi hanno portato a fare un’attenta analisi su me stesso, capendo quanto è importante concentrare le energie sulle cose essenziali e tralasciare l’inutile e il superfluo. Tagliare i rami secchi insomma. Lavorare su me stesso è stato come del carburante prezioso per nuove idee in termini di canzoni e per altri progetti extra musicali di cui ancora è prematuro parlarne.
Dove ti vedremo/ascolteremo nei prossimi mesi? In questi due mesi mi sono esibito solo due volte sulla mia pagina Facebook. La prima appena scrissi “Andrà tutto bene” e la seconda cantando “Lithium” dei Nirvana per omaggiare Kurt Cobain nel giorno dell’anniversario della sua morte. Purtroppo o per fortuna a me non piace utilizzare Facebook o altre piattaforme come vetrina per i live. Ci ho provato eh! Ma mi sono sentito quasi messo alla prova come nei talent show. Non mi sento a mio agio così ho desistito. Sfrutterò questo periodo per scrivere cose nuove, che abbiano come messaggio chiave quello di non smettere mai di sognare, soprattutto in questo momento difficile.
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