C’era odore di capolavoro, nell’aria, un po’ anticipato dal singolo “Quali alibi”, brano denuncia dell’omertà cittadina e di Stato, e un po’ rintracciato nelle dichiarazioni sincere dell’artista stesso, che aveva definito quest’ultima sua fatica “più poetica che politica”. Una volta ascoltato, la fragranza vellutata è stata incontrovertibile: Daniele Silvestri ci ha regalato una pietra miliare della discografia italiana. Pubblicato il 26 febbraio per Sony Music, “Acrobati” è un’opera imponente che vanta 18 tracce che esplorano generi musicali disparati sempre in contatto tra loro, in costante rimescolio tra ironia, denuncia, satira e poesia. Un album, quello del cantautore romano, capace di catalizzare il "meglio del meglio" del suo percorso e di riproporlo in vesti inedite, talvolta tanto inaspettate da spiazzare. Come nell’iniziale “La mia casa”, peculiare nella sua scrittura topografica che sembra riportare in vita José Saramago e nel sound rock che impallidisce progressivamente al solfeggio della parola (con citazione da pelle d’oca del Bataclan), o nella morbida title track, che pondera i beat con maestria spalmando in superficie un testo che avrebbe convinto persino Pico della Mirandola, sull’urgenza dell’uomo di raggiungere l’equilibrio (che “è una filosofia”) e di denominare “libertà” ciò che gli procura il rischio di cadere. Molti i riferimenti, molti i featuring di valore: descrive il disagio giovanile alcolico con un grande Roberto Dell’Era (“La vita è in quel piatto di cose salate che bruciano l’anima e mettono sete”), sottolineato da un’elettronica onomatopeica che esprime la confusione, scherza con i Funky Pushertz in “Bio boogie”, firma insieme a Caparezza un testo geniale, alla Ionesco, da far impallidire ogni rapper in circolazione basato su un’implacabile citazionismo incentrato sul vocabolo sale e sui rimandi alle insurrezioni, qui pretesto per descrivere il malcontento dei giorni nostri che genera rabbia costante ( “Siamo l’ipertesto senza la seconda T’”). Un album creativamente indomabile, che è un calanco nei meandri delle più belle qualità dell'animo.
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