Reduce dal ruolo di couch sulla poltrona diabolica di “Amici”, Elisa ha dato alle stampe il suo “On” con un moto di giovanilismo che nemmeno in uno squarcio desolante di Pasolini avrebbe brillato di luce propria. Contrariamente alle stime del pubblico in crescita, il declino dell’artista friulana, da sempre agile e randagia nei suoi lavori (tra tutti, i capolavori “Asile’s world” e “Lotus") già si rintracciava dall’opaco “L'anima vola”, troppo asservito ai canoni della musica mainstream italiana. Con l’ultima fatica in studio, però, e soprattutto con l’ingannevole singolo “No hero”, brano scoppiettante che immerso nell’album perde di aplomb adagiandosi al resto, le aspettative sembravano voler virare verso un disco più sulla falsariga di “Heart” o tutt’al più di “Then comes the sun” (bene che fosse andata). Ma se nel primo spiccavano gioielli come “Vortexes” o duetti meritevoli come Antony Hegarty, qui l’insalatone di pop, funky e dance non sembra trovare un proprio spessore dignitoso e, senza svincolarsi a sufficienza, sceglie di mantenere una piattezza generale che mai avremmo pensato di accostare ad Elisa. Per fronteggiare un’evidente penuria di idee vincenti, infatti, i ritornelli facili di “Love me forever” o di “Rain over my head” vorrebbero imprimersi come quelli ipnotici di “Gift” o “Together”, ma perdono alla prova del nove proponendo arrangiamenti che meglio starebbero a Sia, Rihanna, Demi Lovato o ad autrici pop dal quale raramente ci si aspetterebbe altro. Sembra quasi che i riferimenti dell’autrice di “Luce” non siano più artisti come Björk (di cui comunque il sottoscala di “Bad Habits” ricorda la spirale concentrica di “Hollow”) ma i The Kolors (“Peter Pan”) o Giorgia (la goffa “Bruciare per te”). Nemmeno Giuliano Sangiorgi, che in passato era ben riuscito a dare risalto alla sua vocalità in “Basta così”, riesce a tirare fuori il coniglio dal cilindro: “Sorrido già”, in duetto con Emma, non ha un’identità stabile e definita di una firma che possa tenere testa alla vittimologia di un lavoro seriale che sembra aver ucciso tutto il brio e l’estro di una delle autrici più interessanti del nostro panorama musicale. “On” è, alla fine delle tredici tracce, un coacervo inespresso di trovate che suonano già vecchie più di quanto vorrebbero inghirlandarsi con suoni appetibili per le nuove generazioni. La domanda delle domande è: riusciremo mai a riavere la pelle d’oca?
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