Folfiri o Folfox – Afterhours

Quando la figlia della notte Àtropo recide il filo dell’esistenza, dopo l’attraversamento lancinante del dolore, non si ha altra scelta che lasciare scorrere i rompicapi interiori attraverso le stagioni di un prolungato silenzio. E seguono il rifiuto, la rabbia, la tristezza, l’accettazione e, se si è artisti, la sublimazione. Con la premessa di raccontare l’evento più doloroso che possa accadere a un umano, la perdita di una persona cara, “Folfiri o Folfox”, undicesimo album in studio degli Afterhours siglato Universal, è uno degli album più belli degli ultimi dieci anni. Lo è per passione (dall’etimologia, “sofferenza”), per testualità, per ricerca sonora ancora una volta imprevedibile, sorprendente, smisurata ad inondare i brani con la forza torrenziale di un’eloquenza che raggiunge dritta il cuore trafiggendolo e risanandolo. È un disco che si rivela dalla prima traccia in piena tersezza: “Il dolore non è la vera destinazione”, lo è la vita, quella che rimane tra i palmi come sabbia quando si raccolgono i sospiri dell’alta marea. E per dimostrarcelo, forte della presenza delle new entry Fabio Rondanini (Calibro 35) e il chitarrista Stefano Pilia (Massimo volume), Manuel Agnelli attinge alle passate esperienze (il disco capolavoro “Padania”) per virare verso una nuova destinazione. Ecco che in “Grande” gli archi giocano come bambini a colmare le distanze di una promessa impossibile da mantenere e piegano le giunchiglie di una voce rotta dal dolore, mentre in “Cetuximab” si manifesta tutta la rabbia, a infilarsi nei risvolti dell’udito a rappresentare il girone infernale di andata senza più possibilità di ritorno. Morte, vita e rinascita sono dovunque, con riferimenti sviscerati in ogni brano: vi è la morte civile del popolo inebetito ne “Il mio popolo si fa”, la discesa agli inferi dei sensi avvelenati dai farmaci in “Ti cambia il sapore”, la passatoia cimiteriale della spettrale “S.Miguel”, la sontuosità drammatica del tormento in “ophrynx” (vicina alle visioni dell’artista Hildur Guðnadóttir). Certo non mancano le schitarrate classiche da sempre marchio di fabbrica (“Qualche tipo di grandezza”), nemmeno il pop di livello (“Non voglio ritrovare il tuo nome”), ma “Il trucco non c’è” e il suono è sempre pronto, anche all’ultimo giro di accordi, a straripare in un terreno del tutto sconosciuto (le voci cavernicole in “Folfiri o Folfox” sono il manifesto di un’indagine ininterrotta). Il clou è un messaggio lampante: “In fondo è tutto dove dev’essere” (da “Lasciati ingannare”), la fallibilità dei genitori nella mancata immortalità sulla terra e lo strazio dei poeti messo in musica in un disco, con il rischio calcolato di “non piacere più” (“Se io fossi il giudice”). 

 

TRACKLIST

CD 1

Grande
Il Mio popolo si fa
L’Odore della giacca di mio padre
Non voglio ritrovare il tuo nome
Ti cambia il sapore
San Miguel
Qualche tipo di grandezza
Cetuximab
Lasciati ingannare (una volta ancora)

CD 2

Oggi
Folfiri o Folfox
Fa male solo la prima volta
Noi non faremo niente
Né pani né pesci
Ophryx
Fra i non viventi vivremo noi
Il Trucco non c’è
Se io fossi il giudice

 

 

  • 9/10
    - 9/10
9/10

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