Per l’etichetta Irma Records il nuovo album di Giuseppe Milici, compositore e armonicista di talento, titola “The look of love” e si sviluppa con omogeneità su una linea espressiva fatta di raffinatezza ed eleganza. Classe mai casual, sempre ponderata, virtuosa come un brano di Paolo Benvegnù al quale una voce o un musicista aggiunge sempre all’ultimo l’ingrediente segreto del successo, e ogni componente è fondamentale come fossimo all’interno del romanzo "Como agua para chocolate” della Esquivel. La rosa degli ospiti chiamati ad accompagnare la miracolosa armonica a bocca di Milici è impagabile e tiene le fila di un lounge misurato, concentrato sulla veridicità (lo charme di Francesca Gramegna in “The look of love”, il mood celebrativo e trasognato di Walter Ricci ne “In the shadow of your smile”). Gli arrangiamenti, creativi e pacati, sono rendimenti fedeli, rispettosi e ben riusciti, ma mai pedissequi: i suoni si riscoprono con piacere, le trame melodiche vengono accennate e poi dipanate con ricercatezza e aplomb. A rapporto sicuramente i quattro migliori episodi del disco: l’”I will survive” in cui si sfiorano le ritmiche della world music, con un’energia più trascinante ed esplosiva dell’originale (assimilabile più all’omaggio di Celia Cruz), “Dimmi cos’è”, vibratile nel suo agitare un’arma che non viene scagliata ma tenuta ai piedi nel tentativo di tradurre in musica le emozioni, la preziosa rivisitazione di “Singin in the rain”, che sembra un tornado in una cristalleria con la sua affabile potenza scanzonata e “Kalsa”, con il supporto di Valeria Milazzo, in cui gli intrecci melodici richiamano quelli da grande schermo di Dario Marianelli e l’incedere vocalico è uno sciame di belle sorprese. A disco concluso, come già si intuiva nella piccante “Vicè”, nell’armonica a bocca è compressa tutta la cronologia dei passi compiuti, dai programmi televisivi alle colonne sonore, ed è un’impressione talmente esatta da pensare che quella versione di “Isn’t she lovely” sia wonderiana quel tanto che basta per rimanere fedele al verso inglese di ‘stupire’ e ‘colpire’, trasmigrando la potenza dei significati dritta dritta dal ‘produttore’ al ‘consumatore’. Se tutto ciò non bastasse, Milici riesce persino a glorificare “La solitudine”, e fosse anche solo per questa acrobazia pindarica, il disco dev’essere ascoltato: avrete le vostre coccole.
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