Era già capitato a Le Luci Della Centrale Elettrica di “Costellazioni” o alla Carmen Consoli de “L’abitudine di tornare” di dire troppo, dirlo in maniera ricercata e di finire irrimediabilmente con il dire niente apparendo supponenti. Non sono dunque le prime vittime, I Cani, con il loro ultimo album in studio “Aurora” uscito il 29 Gennaio di quest’anno, a finire nel tranello malefico di una logorrea tanto straripante da risultare afasica, insignificante. La band di Niccolò Contessa, giunta alla terza boa da superare, si è sapientemente guardata alle spalle riprendendo tematiche già trattate in pecedenza ma il risultato suona asciutto, insapore, grigio. Sin da subito, infatti, “Questo nostro grande amore” dimostra la nudità del re, impegnato nel bluff di descrivere l’attualità sciorinando un numero insopportabile di termini in voga (post, brand, bond, WTO) senza raggiungere alcunché. Ma non migliora il resto: “Non finirà” è un pop sciacquato di cui non si comprende la ragion d’essere, troppo imborghesito persino nel tentativo di risultare birichino, “Ultimo mondo” un’indecifrabile traccia strumentale da sala prove, con un crescendo da tastiera che si fatica a sopportare, “Protobodhisattva” un’indagine sull’origine della specie a tratti interessante che si piega a una melodia chiassosa e a volgarità superflue (“Vuoi il culo o la fica?”). Superstite al frastuono, rimane solo una certezza: per fare un buon album bisogna aver qualcosa da dire, non soltanto una sfilza di parole missate ad hoc.
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