È in radio, sulle piattaforme digitali e in tutti i digital store “Cielo elettrico” (3917210 Records/Distrokid), il nuovo singolo del cantautore Filippo Zucchetti. “Cielo Elettrico” è un delirio di istanti, ricordi, persone, scene e immagini. È una cavalcata poderosa che attraversa pezzi di vita. Una struttura narrativa a “blocchi” ognuno dei quali possiede un’atmosfera differente in cui si entra e si esce fino a ritrovarsi nel momento esatto in cui c’è lo stesso Cielo (elettrico) e tutta la nostra fragilità. Abbiamo raggiunto il cantautore per fargli qualche domanda in merito alla nuova uscita.
Ciao! Vorremmo iniziare la nostra chiacchierata domandandoti subito qual è stato e qual è il motore interiore, quel qualcosa o forse anche quel qualcuno, che ti ha portato ad intraprendere il tuo attuale viaggio nella musica.
Ciao a tutti voi. Sicuramente ho delle necessità espressive, a volte addirittura urgenze; devo raccontare una storia, oppure delle emozioni o ancora dei sogni. Ho bisogno di comunicare, e le parole in musica sono per me il mezzo più naturale.
Da piccolo a cosa immaginavi di dedicarti una volta divenuto adulto e che bambino sei stato? Oggigiorno, invece, come e con quale colore descriveresti metaforicamente la tua personalità nel privato e musicalmente parlando?
Da piccolo non mi vedevo impegnato in una sola passione, e così tuttora. Sono una persona molto curiosa, multiforme, eclettica, che si appassiona a più ambiti e per quanto possibile cerca di approfondirli. Di certo tra le tante cose, volevo scrivere canzoni, ma mi sarebbe piaciuto anche fare il regista e lo sceneggiatore. Non credo di essere classificabile, cambio spesso e quindi scelgo l’arcobaleno.
Parliamo di “Cielo Elettrico”, il tuo nuovo singolo. Cosa ci puoi dire? Scrivo le canzoni iniziando dalla melodia. Questo processo avviene in maniera molto naturale; suono la mia chitarra e improvviso con la voce la melodia. Non utilizzo, se non in piccola parte, la teoria musicale, ovvero non scrivo “a tavolino” la musica ma lascio che arrivi da dentro. Nel caso di “Cielo elettrico” il tutto è nato suonando una chitarra con una forte distorsione. Questo tipo di suono (distorto) mi regala una carica intensa, mi vibra dentro, mi dà energia. Finita la struttura melodica ho iniziato a scrivere il testo, dividendolo in una sorta di “blocchi” separati; delle stanze di vita vissuta alle quali si accede, le si attraversa per poi passare alle successive. Ogni “stanza” racconta e possiede atmosfere differenti, passaggi di vita vissuta, persone, oggetti, ricordi. L’ultima stanza è il presente dove Cielo (Elettrico, pieno di energia) è sempre lo stesso e stessa è la nostra fragilità. C’è nostalgia e ci sono io, un io indefinibile che studia ancora filosofia. Tutta la canzone è piena di immagini: dalla ragazza sotto la pioggia, piena di gioia e precarietà, alla zia che bestemmia in fondo alla stanza. Da amante del cinema spesso “vedo” queste scene nella mia testa come fossi dietro la macchina da presa e poi le descrivo nelle canzoni. Sono un regista all’inverso.
Sei un artista che dà molta importante alle parole, che cosa rappresenta per te la scrittura e quale ritieni sia il suo principale pregio e potere?
L’impegno che metto nei testi è enorme sia a livello formale, ovvero l’attenzione al “suono” delle parole che devono fondersi con la melodia, sia a livello di contenuto. Nei miei testi c’è la mia parte più pura, vera e profonda. Non mi risparmio in nulla e non cerco mai scorciatoie o furberie per piacere a un pubblico più ampio possibile. Il fine di una mia canzone è la canzone stessa, la sua realizzazione. Non ci sono altri fini. Se poi piace, emoziona, fa ascolti è una conseguenza ma mai un obiettivo. La scrittura ha un potere enorme e per gestire questo potere ci vuole capacità e responsabilità. Credo fermamente nella funzione sociale delle canzoni, nel bene e nel male.
Sei o non sei dell’avviso che, attraverso l’analisi del significato del linguaggio, sia possibile arrivare proprio al significato profondo e di superficie, conscio ed inconscio, dell’arte letteraria e figurativa ma anche della musica? Credo che per poter fruire in modo corretto e profondo di un’opera, che si tratti di arte figurativa o letteraria o musicale, sia necessario prima di tutto conoscere il percorso dell’artista: il suo pensiero, il momento storico e infine, qualora non si abbiano le competenze, cercare un ausilio alla comprensone dell’opera. Solo in questo modo è possibile godere pienamente di quest’ultima, altrimenti si rischia una banalizzazione, un effimero approccio che lascia poco o nulla, un “mordi e fuggi” svilente per l’artista e per l’arte stessa.
Quanto ti sembra che sia importante, specialmente nella carriera di un personaggio esposto, l’immagine?
Credo che sia troppo importante. Talmente importante che spesso prevale sui contenuti. Il mio progetto artistico, prevede invece l’attenzione sulla canzone, la sua creazione, il testo, la sua forma e il suo significato, il valore e il messaggio. Quindi un radicale spostamento del focus dall’immagine del personaggio a quella del contenuto delle canzoni. Vorrei valorizzare quanto più possibile la parte autoriale del brano, troppo spesso messa in totale disparte, quando invece il ruolo dell’autore, in quanto tale, è fondamentale. Gli autori dei brani non vengono quasi mai nominati né riportati (se non per obblighi di diritti d’autore), questo oltre che ingiusto tende a confondere l’ascoltatore che, nella maggior parte dei casi, associa erroneamente e automaticamente il cantante con l’autore. Io mi sento quindi prima di tutto un autore di musica e parole che interpreta le proprie canzoni.
Grazie mille per la tua disponibilità, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere questa intervista? Volevo ringraziarvi sincerante per la possibilità che date di esporre certi concetti fondamentali per la comprensione del mio pensiero e quindi per poter fruire al meglio le canzoni che scrivo.
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