Se si vuole descrivere la realtà e raccontare le emozioni più impronunciabili del genere umano bisogna lasciarsi trasportare in un mondo creato ad hoc da professionisti del sentimento. Irene Fornaciari, nel tempo che mette a disposizione dell’ascoltatore, fa proprio questo: si getta come Alice oltre lo specchio e affida al suo talento la lente di ingrandimento. Ed è così che i nodi del reale vengono tutti quanti al pettine: il dramma dei profughi in balia del mare in “Blu”, la lotta contro il disfattismo virale spargitore di veleno in “Draghi nel cielo”, la scoperta del vero in una relazione in “Il paradiso è perduto”. Lasciatasi alle spalle la partecipazione al Festival di Sanremo, la cantante ha radunato intorno a sé le migliori firme della musica italiana, tra cui Federica Abbate, Niccolò Agliardi, Luca Chiaravalli e Marco Ciappelli e ha dato vita a quello che risulta essere finora il capitolo più vincente della sua carriera. A differire, soprattutto, è la crescita umana che si avverte nell’artista, che si fa strada orgogliosa tra il nevischio monotono di un pop troppo pettinato per propagare messaggi. Attraverso undici tracce invitanti Irene allaccia le stringhe della contemporaneità, che proiettano un fenomenale occhio di bue sulle dinamiche della vita, quella che inesorabilmente scorre nella linfa dei nostri giorni. Come se fossimo di fronte a un’“Itaca” di Kavafis 2.0, nel brano più vibrante “Il giorno perfetto” l’artista sembra proprio convincerci: “lascia che ci stenda come un uragano quel che ormai cresce in noi”. Se questa è una promessa, ci aspetta solo il meglio.
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