Live Report: Arcade Fire a Milano, 17 Luglio 2017

Non è certamente una folla oceanica, quella che attende l’arrivo degli Arcade Fire. A ben vedere, anzi, scrutando le linee che dal palco si tratteggiano in diagonale verso i bagarini, il pubblico sembra a malapena arriva a riempire metà dello spazio del festival. Impressione che colpisce appena si raggiunge l’ippodromo snai di Milano, che attende esagitato l’arrivo di una delle band più spettacolari che gli ultimi anni abbiano partorito. Con un’espressione colorata, la mia amica si lascia andare che l’atmosfera ricorda un po’ il Coachella festival, sì, ma dei poveri. Un’espressione divertita che tradisce un certo nervosismo, uno sbottonarsi di camicia che è presto spiegato: il tour europeo della band toccherà soltanto due città italiane, Milano e Firenze, l’adrenalina è massiccia, la voglia di sentire i nipotini di David Bowie è galattica, e niente di tutto ciò che ha fatto seguito sarebbe potuto essere migliore. In apertura ci sono i variopinti Hercules and Love Affair, uno zucchero filato fatto di campionature e distorsioni nate in seno al geniale Andy Butler. Qualche hit l’hanno azzeccata, il buon nome l’hanno mantenuto anche in seguito all’esplosione di “Blind”. Il pubblico la canticchia, il tempo è perfetto per una birretta e per scaldare la voce.

Il pubblico è giovane, la media si aggirerà attorno ai venticinque anni a farla esagerata, le prime file sono serrate e non trattengono neanche una movenza, nemmeno quando in filodiffusione si alternano Bob Marley e l’ultimo motivetto dance. C’è un’euforia nell’aria che trangugia ottimismo e speranza. Un’attesa che svanisce quando la versione slow motion di “Everything now” (che apparentemente sarà contenuta all’interno del nuovo album omonimo, in uscita il 28 luglio) traghetta i magnifici nove sul palco. “Sull’orlo di un precipizio m’inviti adesso a giocare” cantava Battiato in “Bist du bi mir”, e il verso va in scena perfettamente. Allo scoccare del primo giro di basso del nuovo singolo della band, la folla si fa corpo unico e comincia a saltellare. I musicisti sono scatenati, si alternano con esuberanza sul palco incitando costantemente il pubblico già in visibilio. Gli Arcade Fire sono i soliti geniacci nel collegare con file rouge stregoneschi tutti i loro brani, senza mai sbagliare un corpo e senza mai consegnarsi alla prevedibilità. Ecco che la tripletta “Rebellione(Lies)” (mostro sacro), “Here comes the Nightime” e “Chemistry” (al suo debutto dal vivo) riesce a gettare quest’ultima nelle grinfie di un pubblico che dà vita a labiali sincronizzati che più di ogni movenza cadenzano una devozione totale alla band. “Elecric blue” si manifesta in questo varco creato tra l’emotività del pubblico in delirio e l’energia dinamica, voluminosamente bianca di un Win butler in gran forma. E’ la volta del canto mercuriale di Régine Chassagne, che introduce nella scaletta questo brano mai eseguito prima d’ora dal vivo. I visuals alle spalle trasecolano una platea gremita nello spirito di partecipazione, che alterna commozione e cori, tanti cori, sguaiati e danzerecci, ritmati e quasi compulsivi. I momenti magici non si antepongono mai l’un l’altro, ogni brano trascina la sua onda energetica e la riversa come grandine sulle mani al cielo dei paganti. La neonata “Signs of Life” viene presa a braccetto da “No cars go”, sensazionale come la prima volta, anticipando “The suburbs”, “Ready to start” e “Reflektor”. La band ricorda David Bowie, in un ringraziamento che si percepisce come emotivamente sincero, quasi filiale. Il clima si è spalancato al grande pathos, che prepara il terreno alle perle finali tutte in fila. Arrivano “Alterlife” (e il mio amico giornalista brasiliano scoppia in lacrime), l'immortale “Wake up” e poi, celeste come una preghiera affranta, quella “Neon Bible” che regala un amaro plot twisting alla serata. Ci si sarebbe aspettato ancora un brano in scaletta, fosse stata anche la discutibile ma emozionante cover di “Green Light” di Lorde, ma non che Butler & Co uscissero di scena sussurrando “Potete cantare ancora, se vi va”. A testimonianza, si raccoglie quell’eco che si ripete corposa per altri interminabili minuti: il coro di “oh oh oh” sulle note di “Wake Up” vorrebbe tanto richiamare sul palco i nove musicisti per un encore più felice. Ma nonostante ciò non accada, la consapevolezza di aver condiviso collettivamente un piccolo miracolo in una calda notte milanese resta. E se è vero che “Tutto è ora”, in questo istante, siamo grati agli Arcade Fire di averci ricordato quanto sia incredibilmente smisurato il potere della musica dal vivo. Un rituale che non potrà mai finire di stupire.

 

Per chi se lo fosse perso o per chi c'era e vorrebbe ricordarlo, potete ascoltarlo qui:

Scaletta 

Everything Now
Rebellion (Lies)
Here Comes the Night Time
Chemistry
Electric Blue
Signs of Life
No Cars Go
The Suburbs / The Suburbs (Continued)
Ready to Start
Neighborhood #1 (Tunnels)
Sprawl II (Mountains Beyond Mountains)
Reflektor
Afterlife
Creature Comfort
Neighborhood #3 (Power Out)
Wake Up
Neon Bible

 

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