Anticipando la notte più spaventosa dell’anno, l’uscita del nuovo album di Max Gazzè è stata accompagnata da un profondo interrogativo: chi è il Maximilian del titolo? La risposta è nell’album, le perplessità pure. Il disco apre con “Mille volte ancora”, un flebile dialogo tra padre e figlio che farebbe sorridere Camillo Sbarbaro per la sua semplicità, seguito dalla più decisa “Un uomo diverso”, che immortala la realtà con puntiglio (“Sono schiavo di un cavo”/ “Spengo la playstation”) . Il primo scivolone giunge però con “Sul fiume”, ballad inespressiva che ci si aspetterebbe da altri e che proprio come acqua lambisce senza toccare nulla (“Ti prendo la mano e andiamo/ quelle labbra nel sole troveranno parole”). Bene per “La vita com’è”, spaccato pop vincente e candidato tormentone sulla vita ordinaria e sull’esasperazione indotta, brano che impazza nelle radio attirando nuovi fan. Tuttavia "Nulla" cavalca un testo ermeneutico che sigla l'unico episodio aulico dell'album, inneggiando alla potenza dell'amore e dell'universo, ma stonando terribilmente con il resto, anche con la seconda metà più vicina ai lavori precedenti dell’artista. Plauso a parte per "Disordine d'aprile", che vanta testo e composizione del cantautore Tommaso di Giulio, autore dal "pop cinematografico" che firma un testo elegante che si avviticchia a un duetto che funziona, soprattutto per la parte del leone delle liriche squisite.Tra molte esitazioni e qualche lode di dovere, Maximilian è in conclusione un alter ego inacidito da momenti smorti e sprazzi allettanti. Ci aspettiamo di più.
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