Lo scorso 24 novembre è uscito “3 Chord trick”, l’album della “band d’esordio” capitanata da Alan Clark e Phil Palmer. Sì, nomi arcinoti al mondo della musica e non solo per la loro leggendaria militanza sotto l’egida dei Dire Straits, ma anche e soprattutto per l’amore spassionato per il mestiere che li ha portati, alle loro venerande età, a rimettersi in gioco con un progetto fresco e ben riuscito. Un capitolo discografico che per non rischiare si è circondato di eccellenze: Trevor Horn, Danny Cummings, Steve Ferrone, Mel Collins, Marco Caviglia, solo per fare qualche esempio, e che è stato registrato a Los Angeles e a Roma, al Forward Studios di Grottaferrata. I Legacy, questo il nome della band costola dei “Sultani dello swing”, hanno racchiuso 150 anni d’esperienze sommate in un disco di 11 brani in vecchio stile (ma non c’è vanagloria, solo classe). Espressione a intendere un preciso “modus sonandi” dei brani: omogenei, catalogabili, pienamente godibili. Come la prima traccia, “Here an sow”, che bussa alle porte di un gospel-country impavido che non ha intenzione di andare a babboriveggoli. Un intreccio melodico, quello in questione, che si aggrappa alla modernità richiamando la “Use somebody” dei Kings of Leon. Il singolo prescelto, invece, “Jesus street”, arieggia su un ritmo trascinante che si avvolge in un dacron che scalda l’anima. E’ l’ottimo easy listening americano che richiede anni e anni di gavetta, in un sottile equilibrio che non si sciupa mai. E’ lo stile che si adora di Bruce Springsteen, per citare un altro immortale, lo stilema musicale di chi compone meraviglie che reggono il confronto anche in veste acustica, senza sovrastrutture barocche. “Looking for America” si apre concettualmente, in un moto eclittico come se dovesse essere la nuova “Ly-o-lay-ale-loye”, ma poi cede il passo al pop ben strutturato di casa U2. La dedizione, il talento, sono talmente in alto da non essere più passibili di interrogativi.
C'è il buongusto di una ricerca di insieme, una serenità di fondo, un benessere congenito diffuso così convincente da irradiarsi di brano in brano. Come in “Magdalene”, un factual corale,dalle rifiniture celestiali e il mood di una ballad pronta a scalare le classifiche, in un’evanescenza orchestrale che rapisce il cuore, con un finale che suona come se ascoltassimo i Whitetree o Roberto Cacciapaglia.
“Bounty hunter” è un canzoncina faldosa, una b-side di un Santana disimpegnato che tuttavia ha il merito di passare inosservata nella piacevolezza del disco. “Tell me why”, d’altro canto, poggia su un triclinio che strizza l’occhio al calore vocalico di Lou Reed e alle doti cantautorali di Mick Hucknall. Per i brani che si susseguono, fatto salvo per la sorprendente “God’s land”, ben raccolta nel gabbro della propria ispirazione, l’atmosfera del disco si mantiene in una valle senza fallacia e senza eccezionali riverberi, con una costante gradevolezza che dondola tra il suono compatto e rabbioso di “Two days off” e l’amabilità “Twisting the knife”.
“3 chord trick” è il segno indelebile di un falansterio ben corroborato, di un’officina di talento rodata da anni di sudore riversato sui palchi principali di tutto il pianeta Terra. E tutto questo entusiasmo, questo rimescolio di buone idee non troppo geniali, a volte basta alla musica. Soprattutto quando si ha l'impressione di tornare ai fasti di una musica che accompagna un'auto che sfreccia con l'autoradio che gracchia i pezzi nel nero caliginoso della notte.
Tracklist:
Epiphany
Here and Now
Jesus Street
3 Chords Trick
Looking for America
Magdalene
Bounty Hunter
Tell me Why
Twisting the Knife
God.s Land
Two Days off
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