Recensione: “All the way” – Diamanda Galás

A quasi un decennio di distanza dall’indimenticabile “Guilty Guilty Guilty” (Mute Records, 2008) il ritorno di Diamanda Galás è stato nel segno dell’abbondanza. Due, infatti, gli album in uscita dal 24 marzo per l’artista greco-americana, “All the way” (Intravenal Sound Operations)  e il disco dal vivo “At Saint Thomas The Apostle Harlem”. Due viaggi demoniaci all’interno di una delle voci più belle di questo millennio, alle prese, in questo nuovo capitolo discografico, con personali e più che convincenti rivisitazioni di classici standard jazz e blues.  Cover che “la Serpenta” surclassa a mani basse per inconfondibile talento e spettrale bravura. A partire da quell’ ”All the way” portata alla ribalta da Frank Sinatra qui divenuta jazz indomito pronto a sprigionare l’impaurirsi di un'anima indifesa dinnanzi alle ingiustizie del mondo. Per chi non la conoscesse, Diamanda somiglia al dio della pioggia azteca, Tlaloc: richiede il sacrificio più alto, ad un ascoltatore, quello di nuova vita, affinché si possano sublimare tutti i malanni di un mondo cinico. Vita traducibile in energia che puntualmente viene incorporata dalla sua voce tempestosa, che quando si accosta ad un capolavoro, non può che farlo arrossire. I suoi acuti, infatti, sono  veri e propri cataclismi, ma la sua eleganza non ha mai conosciuto pari, nemmeno in Etta James, Dinah Washington, la sua classe e la sua compostezza le hanno valso una carriera fiera, rispettabile e variegata, capace di passare dai lamenti anti-aids di “Plague Mass” al rock crudo featuring John Paul Jones di “The sporting life”. Ecco che, come perle di una collana smarrita nei fondali dell’oceano, nel disco arriva il turno di “The thrill is gone” e “You don’t know what love is”. Nella prima, successo di Chet Baker e di B.B King,  l’artista appare sfrontata, gotica come sempre,supplichevole come l'amore più trinciante (il verso finale è quello di una dea, di un castigo, non certo di un’umana). Nella seconda, invece, quella splendida “You don't know what love is” della leggendaria Nina Simone , l’autrice si concede catartica un momento di profonda ipnosi uditiva, a ricordare, come nel mito della Creazione dei Sioux, che  è attraverso il canto che i quattro Dei del cielo furono creati (il Tuono, i Fulmini, il Vento, le Nuvole). Sembra di vederla, ascoltandola: lì, al suo pianoforte, con i suoi capelli lunghi, folti, corvini, ad esprimere la sua furia selvaggia, consapevoli di appartenere a una persona che è serbatoio creativo assicurato di epifanie costanti. Apoplettiche. Epilettiche.

Se le carte sono da considerarsi scioccamente uno strumento demoniaco, la Galás sa giocarsi tutte quante le proprie a suo insindacabile favore: in “O death” l'impetuosità della sua voce è indescrivibile, del tutto inesplorata, si affida a solo vocaboli non ancora inventati. Dinnanzi alla sua inqualificabile potenza vocale, si può solo andare in érmini. In “Pardon me I've got someone to kill” (di Johnny Paycheck) troviamo la coda di un pianoforte che è andato a fuoco  per il meraviglioso vizio della Cantante di concrepare l'animo per farne scivolare via tutte le angosce e le paure. Diamanda somiglia in fondo a  una neonata: riconduce tutto alla sua voce imponderabile, inafferrabile, miracolosa: lì trasmigrano tutte le esperienze del mondo, da lì si avverano tutti i presagi. E’ l’unica a potersi concedere il lusso di occuparsi dell’increato senza mai sciupare la poeticità della musica sperimentale. Grazie, Diamanda. 

 

Tracklist

All the Way:

01 All The Way
02 You Don’t Know What Love Is
03 The Thrill Is Gone
04 Round Midnight
05 O Death
06 Pardon Me I’ve Got Someone To Kill

At Saint Thomas the Apostle Harlem:

01 Verrá la more e avrá tuoi occhi
02 Anoixe Petra
03 Angels
04 Die Stunde Kommt
05 Fernand
06 O Death
07 Amsterdam
08 Artemis
09 Let My People Go 

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