Gli Echoes sono una band umbra, formata da Gianni Franchi, Andrea Beccaccioli, e Giovanni Mavuli. Recentemente hanno pubblicato sui migliori digital store il loro primo disco, Io, caratterizzato da sonorità apocalittiche, tra elementi industrial, progressive, sludge ed influenzato da band come 65daysofstatic, Russian Circle, Caspian, Slint, Tool, Kyuss.
Opera esclusivamente strumentale, strutturata in capitoli, il disco è un viaggio nella psiche umana, caratterizzato da solitudine ed isolamento. I pezzi, attraverso il massiccio uso dell’elettronica e dei suoi attributi (synth, loop, droni, campionamenti ed altri effetti) e attraverso il supporto di strumenti come chitarra, basso e batteria sono segnati dal rifiuto di una chiara comunicazione e di un messaggio rincuorante o positivo: lo scenario è quello del caos, della violenza, della distruzione.
Capitolo 1, la città cade subito ci avvolge tra suoni saturati e distorti, calandoci in uno scenario post apocalittico. L’ingresso dei synth genera un certo ordine, ma questo è soltanto apparente. Sul crescendo sonoro caratterizzato da queste strutture irrompono improvvisamente la chitarra e la batteria. La distorsione è tra metal e grunge, ma l’uso del doppio pedale, nella parte finale, il fitto pattern di chitarra risentono del genere musica più estremo tra i due. Capitolo 2, Jacintho inizia con un vasto senso di attesa. Echi elettronici si sviluppano, successivamente l’arpeggio di chitarra (sembra di sentire i Tool) ci portano ad una sezione più arida: la combinazione del charleston aperto e della chitarra risente dello stoner. Successivamente, le percussioni diventano elettroniche, quasi immediatamente avvolte in una sezione di grande impatto, caratterizzata dal supporto di tutti gli strumenti, nella quale possiamo ascoltare combinazioni e successioni ritmiche interessanti. L’influenza dei Tool e di un certo Nu Metal è qui molto evidente, e lo è ancora di più nel finale del pezzo. Capitolo 3, il nomade: viaggio è la traccia più breve. Una chitarra in loop si unisce ad un sezione elettroniche evocativa ed epica. Si tratta del brano più lento del disco. Attorno al secondo minuto la musica scende di intensità, un suono in loop dà avvio ad una nuova sezione. Capitolo 4, il nomade: questa non è casa ripropone gli elementi del brano precedente ma la velocità è più rapida. La distorsione è granitica, fa pensare ai Crowbar o ai Kyuss. A partire da 3:00 circa emergono i suoni acuti, abbastanza rari in questo disco. Capitolo 5, astio inizia con un elettronica apocalittica, e la band dà il meglio di sé in un ricerca micropolifonica, in un’attenta cura al dettaglio. Ma a partire dalla fine del terzo minuto cambia tutto, e l’arpeggio rivela una sonorità di tipo alternative-rock. In un crescendo si giunge ad una sezione più fitta, caratterizzata da un pattern di batteria più tagliente. Capitolo 6, l’orco, chiude il disco con i suoi 10 minuti. L’interessantissimo drone iniziale sfuma lentamente lasciando spazio a batteria e chitarra, ma rimane comunque sullo sfondo. Un breve bridge conduce al minuto 3:00, caratterizzata da un ritmo ed un’ intensità completamente diversi. Proprio la successione di sezioni diverse determina il leitmotiv di questo pezzo.
Le sensazione è che in ogni traccia ci sia un tentativo di rinascita e di redenzione: in un mondo fatto di macerie, distrutto da una catastrofe atomica, è possibile solo provare a riemergere, attraverso suoni granitici e affilati. Io è un’opera interessantissima, ottimo punto di partenza di una band che propone un genere tanto complesso ed originale.
You must be logged in to post a comment Login