Non poteva esistere modo migliore per mettersi alle spalle l’estate distonica di questo 2020 che questo nuovo disco de Il Silenzio delle vergini. Chi, come me, ha a cuore le stagioni più intime e introspettive non può che abbandonarsi a “Fiori recisi” e alle sue atmosfere languide ed oniriche. La forma della colonna sonora sembra essere il cavallo di battaglia della band bergamasca, che riesce a toccare riferimenti interessanti senza perdere identità.
Ci si ritrova nelle canzoni come in labirinti caleidoscopici, in cui gli strumenti elettrici si intersecano con una elettronica mai invadente.
Le chitarre ci ricordano spesso i deliri a sei corde di un Massimo Zamboni più maturo, e c’é perfino posto per echi di Depeche Mode, come nell’incipit di “Radici di paradiso”.
Il disco apre spiragli tra la nebbia, nelle armonie più distese di brani come “Cuore di farfalla”, per poi tornare a rinchiudersi nelle stanze più buie e meditative. Senza abusare di etichette scontate, difficile non pensare a radici post-rock.
La vera perla sta nel fondo: il singolo che ha anticipato il disco, la closer track “Il treno dei desideri”, un autentico capolavoro di stile ed atmosfera, quasi un messaggio di speranza latente, un augurio sospeso.
Deciso e poco sospeso invece sia il nostro, di augurio, a questa band che ci ha regalato 33 minuti di bellezza con i quali affrontare questo nuovo autunno.
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