Si chiama “Passaporto” (Self Distribuzione) ed è il documento discografico che tutti gli appassionati di musica attendevano da anni: il primo album solista di Mario Riso, l’onnipresente e talentuoso batterista che può vantare una delle carriere più gloriose nel panorama italiano. La sua presenza in 150 dischi nazionali, accompagnata da conduzioni televisive (“Morning glory”) e fondazioni di programmi (“Rock Tv” su Sky e “Hip-Hop Tv”) e dal suo costante impegno umanitario (fondatore di Rezophonic, progetto a sostegno delle popolazioni keniote per combattere insieme l’emergenza della mancanza di acqua potabile) gli sono valsi un curriculum di prestigio che oggi vede a coronamento del suo percorso la realizzazione di un disco di 18 brani. Tracce che sono segni lasciati sul profilo artistico di Mario Riso donati dalle sue peregrinazioni creative e dalle sue innumerevoli esperienze dal vivo. Il progetto inizia con “Un temporale”, che si innalza dalle forme larvali di una base che ricorda Nuccio Torora. Il ritmo sinodico abbraccia da subito una collaborazione con il giovane Danti del duo Two Fingerz. Il testo non brilla tra i migliori dell’hip-hop italiano, ma le immagini create drenano il terreno preparandolo a uno sfoltimento sempre più centrato e mirato alla qualità. Il risultato fruttifica immediatamente, donando un featuring geniale con Caparezza, la voce meravigliosamente aliena di Cristina Scabbia e quella poeticamente rabdomantica di Giuliano Sangiorgi (“Nell’acqua”). Ogni canzone svela una tassello del difficile quadro identificativo dell’artista: in “Ay que le pasa al mayoral” i mitici Los Compadres siglano una traccia che abbraccia le sue origini argentine, in “Taratatatà”, invece, la fotografia sonora si imprime sul ritorno da parte del cantante, nel 2005, alle porte di casa del suo grande amore, le percussioni. E’ un pezzo grintoso che trattiene echi di Soulfly e atmosfere-poltergeist dei Cavalera Conspiracy. Senza ricorrere ad ammendanti e corretivi, la voce tiepida e coinvolgente di Alessandro Ranzani è un lehm che accoglie il brusco passaggio delle sferzate metal alle striature pop di “Compleanno”. Una transizione che incontra la meravigliosa “Hollywood 90” , nella sua imbottitura musicale che preserva per sempre le atmosfere sognanti ed energiche di quegli anni, in un’America totalmente ribaltata, divisa tra timori e profondi speranze. Nonostante il suo carattere collaborativo, “Passaporto” si lascia andare in più occasioni a racconti intimi e personali. Il testo di “Ti cercherò”, per citarne uno, mette a nudo la fragilità di un’anima che, avendo attraversato vari mondi, ne ha irrimediabilmente conservato sottopelle ogni profumo, ricordo, sentore. C’è spazio per molto altro, chiaramente, e subito a ricordarcelo non può mancare un geniale esperimento dal titolo “Riso vs Rise” che mette a confronto tre generazioni di modi di intendere lo strumento magico che è la batteria, in collaborazione con il beatboxing di Rise e le percussioni magistrali di Tullio De Piscopo. Nel semenzaio di una poliedricità fuori dall'ordinario, il compostaggio per un esordio che è una celebrazione di una carriera senza paragoni è presto realizzato. In circostanze simili, è risaputo, anche una chitarra in solitaria può colmare i ristagni emotivi di chi non riesce ad alfabetizzare i propri turbamenti interiori. E’ il caso di “Senza te”, che più di tutte le altre tracce dimostra che la musica, quando passa tra le mani giuste, trascende lentamente in poesia. Alla fine di questo nuovo capitolo discografico ci si accorge che ad arricchire l’anima di incontri si finisce indubbiamente con l’impreziosire il proprio talento, e “Suena Mario” – un invito scherzoso e appassionato che giunge dall’alto – rappresenta proprio una lunazione che ritrova nelle strade della musica nascita e rinascita, inizio e fine come parti coinvolte nella stessa staffetta.
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