Recensione – Sebastiano Dessanay e Paola Meloni – “Suite Française”

In formato digitale ed in formato fisico, con un intento tanto evocativo quanto didattico, Suite Française è la nuova opera di Sebastiano Dessanay, contrabbassista e compositore italiano, che per l’occasione affida le sue composizioni alla pianista Paola Meloni. Su supporto fisico sono presenti anche gli spartiti al fine di poter suonare autonomamente tutte le tracce.

Tracce che lo portano ad attraversare secoli di storia della musica, nelle quali l’intento di riproporre in chiave musicale il viaggio in Bretagna è quasi solo un pretesto, in quanto reale protagonista è, qui, la grande musica. A mio avviso nel disco ci sono tracce nelle quali prevale la forma e tracce nelle quali prevale il contenuto. Al primo gruppo appartengono sicuramente Prologue ed Epilogue, che all’iniziano manifestano una certa austerità, e che sono bachiane, quasi liturgiche. Poi il discorso si amplia verso nuovi orizzonti emotivi, anche attraverso la ricerca dell’effetto sorpresa con l’uso delle dissonanze. A tale gruppo appartengono anche Ca ira Bien, ricerca armonica assoluta, con le sue strutture sonore intrecciate, alla ricerca di nuovi orizzonti tonali, anche attraverso modulazioni continue; anche Dix- Sept, che seppur con coloriti autunnali (soprattutto all’inizio) si muove su scale a tratti jazz, sempre alla ricerca di nuove soluzioni. Ancora, in A Dinard prevale l’uso di suoni gravi, a tratti con un approccio dodecafonico, ed il compositore gioca sull’accostamento di autentici abissi sonori, costruendo forme sempre nuove. Una valse bretonne è un tentativo ben riuscito di riappropriarsi di una forma musicale tradizionale e nel forzarla in varie direzioni, un po’ alla maniera di Ravel con la composizione La Valse. Sicuramente è qui evidente la lezione dell’impressionismo francese.

Ma sono le tracce del secondo gruppo a prevalere, ovvero quelle nelle quali fin da titolo è possibile riscontrare un intento descrittivo. Osserviamo, ad esempio, ciò che accade in La tempete: fin dai tremoli iniziali siamo immersi in un preludio di tempesta, e ed i suoni vibrano, irrompono, squarciano in un crescendo di intensità e velocità. Poi tutta sembra calmarsi, ma prevale una pioggia disordinata, a tratti ancora irruente. Infine si crea un’ordine e la pioggia sembra danzare, alla maniera di una composizione pianistica di Debussy. Anche La marée con il relativo Prelude si iscrivono perfettamente in questo gruppo di tracce. Se nel Prelude possiamo sentire il tocco delle onde sulla faccia, in La marée è un po’ come contemplare il mare di mattina presto, aspettandosi che possa accadere qualsiasi cosa. Ma questo non è La Mer di Debussy, non c’è nulla di epico e di scomposto, bensì prevale la ricerca sonora, l’accostamento inaspettato, l’andare in varie direzioni. Aout è la composizione che risente maggiormente del jazz, a tratti del jazz (certe strutture ricordano Fugue degli Emerson Lake and Palmer). La descrizione di una giornata estiva diventa occasione per proporre una musica sincopata, modale, che lascia trapelare la consapevolezza di una stagione che volge al termine, che è ancora in grado di dare il meglio di sé, ma che finisce all’improvviso. Bruillard sur Loir dal titolo sembrerebbe essere musica “ a programma”, ma potrebbe quasi entrare nel primo gruppo di brani, in quanto la ricerca formale supera quella del contenuto. Nel silenzio della sala emergono ricercate armonie, che a rivelano qualcosa di sinistro.

Suite Francaise ci passa davanti con leggerezza, si lascia ascoltare con piacere e la materia appare più viva che mai soprattutto grazie all’accostamento di intensità diverse. Opera ricercata in ogni dettaglio, ambiziosa ed originale, riesce ad appassionare anche i non esperti, e potrebbe costituire il primo capitolo di un interessante discorso, che parla un linguaggio complesso ed interessante.

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