Recensione: Riccardo Inge – Giorno di Festa

Con “Giorno di festa” il cantautore milanese Riccardo Inge esordisce da solista con un Ep contenente cinque brani che contrassegnano il nuovo percorso intrapreso in seguito allo scioglimento della sua precedente band, in un formidabile sdoppiamento tra ordinarietà ed evasione artistica.  Figlio del proprio tempo, il disco non vive di celebrazioni pur affidandosi alla collaudata formula del featuring, regalando in prima portata un duetto vincente con il rapper Cranio Randagio, in “Cosa resterà di noi”, siglando un manifesto contemporaneo dai mille riferimenti attraverso la storia del cantautorato italiano (il verso a Raf di “Cosa resterà di questi anni ‘80”, a Vasco Brondi degli anni 0, al “Passa tutto quanto” Ligabuesco sino al “Dicono di me” di Cremonini). Il brano d’apertura funziona bene, olia tutto l’impianto grazie alla sua capacità di squadrare il reticolato dei sentimenti intorpiditi delle “vipere” in agguato e, quando l’elettronica pulsa sotterranea facendo il suo ingresso, il motore carbura e il rap di Vittorio Bos Andrei sciorina il modus vivendi di tutta una generazione tormentata, afflitta da una rabbia perenne difficile da abortire. È la volta, poi, di “Fino a domani”, dal testo sofferto ma sagittabondo, quasi incline al parlato, che rimane ben impresso nella linea melodica, i refrain si aprono sempre al momento giusto a ventilare le strettoie, le canzoni sono primavere che dal vivo devono essere autentici florilegi. In Tasche Inge risale la colonna vertebrale dell’orgoglio indurito, canta di una dignità mai disposta a divenire un molle compromesso, sbraita con classe e maestria (a questo dobbiamo il veicolo straordinario dell’arte) nei confronti delle mediocrità girandolanti che ottengono i podi rovistando nelle tasche piene di meriti che non possiedono. Non vengono risparmiati i social, le virtualità che rincretiniscono, nemmeno la propria emotività, sempre sul crinale di un baratro o di un’ascesa fumarolica: in Meglio ballare” si scaglia contro la fame di successo “All you can eat”, ottenuto senza fatica, e nell’ascoltarlo l’orecchio incappa  in un sound ‘power ballad’ anni ’90 in stile Alexia, Jovanotti, con oscillazioni indemoniate alla Black flag. A chiudere, tenera e invocata, una Peter pan” Felliniana per suggestioni e immagini, all’interno delle quali il “nostro” si diverte a sognare di potervi rimanere all’infinito, “come una sarta esperta nel cucito” e come un bambino mai cresciuto canticchia il suono della tromba sul finale. Un colpo di classe per un  Ep che ha ben in chiaro cosa vuole proporre. 

 

  • 8/10
    - 8/10
8/10

You must be logged in to post a comment Login