Che questi non siano tempi adatti a sperimentazioni audaci è vero fino a prova contraria e "Kurtz sta bene", il disco d'esordio degli Stanley Rubik, è proprio l’evidenza che smentisce ogni luogo comune. La band formata da Dario Di Gennaro, Gianluca Ferranti e Andrea Bonomi Savignon dimostra una forte personalità, refrattaria a facili arrivismi, in corsa verso una consacrazione che già si respira. Lo fa senza disdegnare citazioni letterarie, cinematografiche e musicali, mixate in tracce che richiedono un metabolismo attento e preparato, capace di cogliere le sovrastrutture che permeano il lavoro in studio. Tracce come “Cado”, tempestata di synth tribali che ricordano la Grimes di “Visions” e di un testo che sembra raccontare la trama del film “La haine”, “A”, con i suoi sciami sonori alla Verdena e un testo indecifrabile fatto di folgorazioni visive, e “Distacco”, una riuscitissima narrazione dello smarrimento moderno che assembla nella memoria una Meg prolissa e dei Tiromancino caustici, demarcano uno spazio nuovo e degno di nota nel panorama delle nuove proposte. Ma sono in generale il clima ellittico e misterioso, le melodie buiose e comunque piacevoli, le geometrie dei brani creati da una spontanea istintività, a suggerire che ci sono gli elementi per arrivare lontano con decisione e freschezza. Viene in mente un cenotafio, un monumento spettrale di resti conservati altrove, in cui l’approdo è ben distante dal punto di partenza e il viaggio un’intrigante e sbalorditiva traversata. Bisogna tuffarsi nella tormenta.
You must be logged in to post a comment Login